L’equiparazione fatta dal recente decreto legge tra infortuni sul lavoro e contagio da Covid-19, comporta due conseguenze sul piano giuridico: avvio del procedimento penale a carico dell’imprenditore per i reati di lesioni e omicidio colposo anche per colpa grave e avvio della causa civile di risarcimento alla parte lesa e di rimborso all’Inail.

Il contagio da Covid-19 determina un potenziale profilo di responsabilità penale per il datore di lavoro  con il carico quasi insostenibile dell’inversione dell’onere della prova: a lui il compito di dimostrare che il dipendente non si è ammalato sul luogo di lavoro, operazione impossibile considerando che il lungo periodo di incubazione del virus non permette di avere certezza sul luogo e sulla causa del contagio, senza peraltro poter escludere con sufficiente certezza l’esistenza di altre cause contagio. Per non parlare dei soggetti asintomatici. Condanna pressoché’ sicura, poiché’, come dicono i tecnici, per l’imprenditore chiamato a giudizio si tratterebbe di “probatio diabolica”, locuzione che non necessita di traduzione.

La scure giudiziaria si abbatterebbe su di lui, responsabile per definizione se il contagio da Covid-19 colpisse anche un solo dipendente, come se il virus fosse stato contratto all’interno dei luoghi di lavoro. E sarebbe pressoché’ impossibile dimostrare, con ragionevole certezza, il contrario

Per tutti gli imprenditori, già pesantemente colpiti in termini economici da questa emergenza sanitaria e dai costi per la messa in sicurezza di lavoratori e luoghi di lavoro, l’eventuale rischio di sanzioni correlate all’inosservanza delle misure anti-contagio sarebbe il colpo del definitivo KO.

Nonostante restino a loro carico le sanificazioni dei locali, delle attrezzature, degli arredi, le mascherine introvabili, i guanti requisiti dalle dogane, i gel igienizzanti e tanti altri accorgimenti, gli imprenditori corrono rischi penali se i lavoratori si dovessero ammalare e senza neppure sapere come sia accaduto. Esiste una direttiva europea del 12 giugno 1989, che consente agli Stati membri, di escludere la responsabilità dei datori di lavoro per atti dovuti a circostanze estranee, anormali, imprevedibili, eccezionali, le cui conseguenze non avrebbero potuto essere evitate anche usando la diligenza più scrupolosa. Occasione perfetta e in linea col politicamente corretto (‘ce lo chiede l’Europa’) per liberare gli imprenditori da questo ulteriore rischio, senza privare i lavoratori dei loro diritti.

Non sembra né ragionevole né possibile togliere ai titolari di aziende anche la minima serenità, facendoli piombare in uno stato di pericolo e di abisso psicologico e pratico di un processo penale e di azioni risarcitorie.

Sembrerebbe ad un primo sguardo l’ultimo colpo della scure che si sta abbattendo su una imprenditoria già alle corde, colpita da una crisi che rischia di sotterrare il nostro paese in una recessione, al cui confronto quella degli anni ’30 potrebbe sembrare una passeggiata.

C’è qualcosa di più profondo, il ‘male oscuro ‘ che ha invaso il paese e che si diffonde rapidamente col il decreto “cura Italia” secondo le terapie figlie della filosofia che sta dando il colpo di grazia al paese.

Le armate della burocrazia ossessiva, i fanatici del controllo su tutto e tutti, l’avversione al rischio d’impresa, l’invidia sociale stanno acquisendo la sensazione che l’opera di militarizzazione burocratica cara al loro esercito amante del pubblico sempre e comunque, sia vicino alla vittoria finale. Apparentemente insensibili al fatto che se nessuno produrrà ricchezza, non ci sarà nulla da distribuire, né per il pubblico né per i privati, né per i vincitori né per i vinti di questa insulsa guerra tutta italiana.

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