Nata dal compromesso tra Lega e Pd, grillini e Forza Italia, alla fine la montagna ha partorito un topolino, contro cui l’ANM aveva pure annunciato uno sciopero, nonostante nella riforma non si faccia alcun riferimento alle urgenti riforme strutturali, dalla separazione delle carriere fra P.M. e giudicanti, alla estrapolazione del giudizio disciplinare dei magistrati dal C.S.M., dall’accesso alla funzione ai criteri per nominare i capi degli uffici, pur se tali interventi, poiché attengono all’ordinamento della giustizia nel suo complesso, avrebbero effetti positivi anche sull’amministrazione della giustizia penale.

Dopo aver scoperto all’ANM, che probabilmente non aderiva nessuno, lo hanno revocato.

Dietro invece alla scelta di non aumentare il numero dei magistrati, ma di potenziare l’ufficio per il processo, sta una surrettizia ma profonda “revisione” del ruolo del giudice, trasformandolo nel supervisore dell’attività di giovani collaboratori, cui delegare tronconi della propria attività per poi compiere la sintesi finale. Ciò equivale a scollegare le fasi del sillogismo giudiziario, comprometterne logicità e attendibilità, complicare la percezione complessiva della causa su cui dovrebbe basarsi la pronuncia di giustizia, e mettere in discussione le radici del basilare principio che ispira l’attività giudiziaria, riassunto da secoli dal brocardo “narra mihi factum dabo tibi ius”.

La sostanza della ‘riforma Bonafede-Cartabia’ è che…  

  1. non avvia a soluzione i problemi strutturali della giustizia penale in Italia, quali la carenza degli organici dei magistrati, degli ausiliari, e del personale penitenziario, e il sovraffollamento carcerario in strutture obsolete se non fatiscenti;
  2. accentua il ruolo ‘politico’ dei Procuratori della Repubblica, attraverso criteri di priorità che provocheranno la diseguale amministrazione della giustizia sul territorio nazionale;
  3. indebolisce le garanzie di un giudizio concentrato e diretto, con la deroga alla immutabilità del giudice;
  4. confonde istituti sostanziali, come la prescrizione, con istituti processuali, come l’improcedibilità in appello e in cassazione, con prevedibile diniego di giustizia nei distretti più gravati;
  5. confida nell’esecuzione penale esterna, senza dotarla di strumenti per renderla funzionale, così incrementando l’incertezza della pena, e nelle sanzioni pecuniarie, senza prevedere come recuperarle dal condannato.

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