di Alessandro Artini
“Con gli occhi di Maura” non è un libro facile da leggere. La storia di Maura Corazzi, una giovane donna di quarantacinque anni, con tre figli e un marito profondamente innamorato, non la si può ascoltare in maniera disattenta e un po’ superficiale, come un programma televisivo d’intrattenimento. Maura, infatti, dopo il suo terzo parto, avvenuto il 15 settembre 2011 ad Arezzo, mediante anestesia spinale e taglio cesareo, si è progressivamente immobilizzata, fino a essere allettata, tracheostomizzata per poter respirare e nutrita con una cannula.
Ho scelto, in premessa, di fotografare sinteticamente questa vicenda, nella sua crudezza oggettiva, quasi per superare una sorta di impaccio morale di cui dirò più avanti.
Adesso qualche precisazione: Maura era una ragazza molto attiva, innamorata del suo lavoro a Firenze, presso un Centro di Pronta Accoglienza per ragazzi minori, pronta a partire per un viaggio in qualsiasi momento. Una giovane donna animata da una profonda attitudine verso gli altri, capace di viaggiare in Africa, con il futuro marito, per conoscere e prodigarsi per le popolazioni più bisognose. Una persona di mente aperta con una formazione di analista contabile informatico e con un diploma di educatrice per minori, conoscitrice del linguaggio Braille, di quello dei segni e pure istruttrice di tiro all’arco per non vedenti. Con una battuta, potrei definirla come una donna curiosa, immersa, alla stregua di un pesce, nelle correnti rapide della vita.
A questo punto, dopo quello che ho riferito della sua condizione attuale, qualcuno potrebbe obiettare che la descrizione di Maura vale solo se declinata al passato. Non sono d’accordo. La sua personalità – e questo è il principale messaggio del suo libro -, nella sua essenza profonda, è sempre la stessa, anche se la sua anima si è adattata a convivere con le condizioni opprimenti che la vita severamente le ha imposto. Il libro di cui parlo è la testimonianza di una libertà interiore insaziabile, sebbene esposta alle ombre psichiche della sua prigione corporea. Le limitazioni fisiche non impediscono alla sua mente di muoversi, fantasticare sui ricordi e riflettere, con senso realistico, sulle possibilità di cura della sua malattia e anche sul possibile nesso tra la puntura anestetica prima del parto e la sua condizione successiva. La vista, che è il principale dei sensi, la soccorre e i suoi occhi sono veloci nel comunicare, grazie a un puntatore ottico. I greci antichi conoscevano la vastità di quel senso che, rivolto al cielo, suscitava lo stupore per il nostro esserci, da cui sono promanate le prime riflessioni, filosofiche e scientifiche ad un tempo. Per i greci, come per noi, “vedere” significa anche “capire”. Ciò vale soprattutto nel linguaggio corrente, quando la domanda “Vedi?” significa “Hai capito?”.
Lo sguardo per lei è uno strumento scientifico, come una calcolatrice o un microscopio, per indagare l’altro e lei traguarda, nelle persone che vede e che lavorano con il suo corpo, la loro interiorità. Già, perché il corpo, anche se al momento risponde poco, non è solamente una massa cosale, un oggetto inerte; da esso, invece, si sprigiona il suo essere, di persona viva e molto vivace. Libera, ancorché prigioniera del corpo stesso, come lei stessa ci racconta.
Maura è un’indagatrice dello sguardo e non solo perché con esso penetra il mondo e l’anima delle persone, seppur con un atteggiamento sempre benevolo, ma anche perché con i suoi occhi neri intensi interagisce con lo sguardo altrui e non c’è scusa per chi rifiuta il contatto degli occhi. Ma questi ultimi non sono solamente un apparecchio conoscitivo e comunicativo, ma anche un vero e proprio strumento relazionale. Così ella si intrattiene con i suoi tre figli e comunica con il marito Luciano, che è la sua sentinella e che l’ha salvata alcune volte da morte certa, per esempio quando stava per affogare in una crisi respiratoria. Luciano, infatti, si muove rispetto a Maura con la certezza intuitiva che solo l’amore può garantire, anche se la sua mente, che non è scevra di dubbi, cerca delle risposte di natura medica. Grazie ai figli e a Luciano, Maura fa parte pienamente di una famiglia ed è madre autentica, ancorché limitata nell’espressività fisica dei sentimenti. Certamente vorrebbe abbracciare i figli, correre con loro o semplicemente accompagnarli nella vita quotidiana, ma, non potendo farlo fisicamente, lo fa con gli strumenti che la vita, la scienza e la tecnologia informatica le mettono a disposizione.
Il libro di cui parliamo è espressione della sua forza e libertà ed è dedicato a loro, con tenerezza e cura. Le espressioni con le quali ella si rivolge ai figli sono molto dolci e tutt’altro che usuali e fanno capire come il libro stesso sia un modo per attendere ai compiti di madre.
Adesso, devo affrontare un’ultima questione, quella dell’impaccio nel recensirlo. La vicenda di Maura non ammette scorciatoie (anche perché è lei stessa a rifuggirle) e ci pone di fronte all’essenza della vita, potandola da tutte quelle inutili escrescenze di cui talvolta si nutre vanamente la nostra quotidianità. Che senso hanno i piccoli e futili sentimenti che spesso indossiamo, come le invidie, le gelosie, gli egoismi, le arrabbiature, ecc. Questi sentimenti, che fanno parte di noi, al cospetto di quella vicenda, ci fanno sentire inadeguati. Così ci inzuppiamo di sensi di colpa. Ma proprio su questo è Maura stessa a offrirci qualche indicazione: “(…) chiedo a tutti, ai parenti, alle amiche e agli amici del mio paese e non solo, di venire, così come sono, senza la maschera del senso di colpa, dell’imbarazzo, a conoscere la nuova Maura”. A queste indicazioni ho cercato di attenermi.
In una nuova edizione del ciclo di conferenze “Scaffali”, della Biblioteca della Città di Arezzo, presenteremo “Con gli occhi di Maura. Errando tra incertezza medica e ricerca della verità”, a cura di Maura Corazzi e Valentina Pedani, Edizioni di Prhomos, Città di Castello, 2019.